Sanità, ecco il testo che ha fatto “infuriare” Bonaccini

Ecco la relazione letta in aula da Raffaella Sensoli, in veste di relatrice di minoranza del Piano Socio-Sanitario 2017/2019, che secondo il presidente Bonaccini non corrispondeva alla realtà della nostra regione.

 

“Non possiamo che essere orgogliosi che il sistema salute della nostra Regione ancora oggi sia un sistema di eccellenza ed un modello per le altre regioni. Ma la domanda sorge spontanea: la politica contribuisce a tutto ciò o è l’elemento di criticità per il sistema sanitario regionale?

Per i cittadini sembra che il vero problema della sanità nazionale e di conseguenza regionale sia la mano della Politica che fa da freno, che non solo non risolve le criticità ma ne crea ulteriori, utilizzando spesso la sanità come un bancomat.

E’ per questo sorprendente che senza una approfondita valutazione sui risultati del Piano Socio Sanitario precedente, scaduto da oltre un anno, si presenti una proposta di Piano che altro non è che la riproduzione del vecchio Piano con un’opera di restyling parziale. Ci saremmo aspettati di fare un primo bilancio di cosa è stato attuato e del molto che, a nostro avviso, è rimasto sulla carta.

Intervenire con una nuova riformulazione del vecchio piano, in chiave trionfalistica, come se si partisse dall’anno zero, senza aprire una riflessione su quanto si è fatto sulle criticità appare poco comprensibile, ancor meno giustificabile e in parte connota un’incapacità di programmazione vera.

La scelta di fare un documento sintetico e propagandistico si fonda sulla volontà di centralizzare e di declassare la partecipazione a sorda audizione. Ne è prova quanto è emerso nell’udienza conoscitiva dov’è non c’è stato interlocutore che non abbia fatto emergere criticità.

Con questo documento, formulato in modo da non permettere una efficace discussione e formulazione di proposte emendative si è di fatto esautorata l’Assemblea Legislativa dal suo ruolo,  in favore della esaltazione della Giunta e del suo Presidente come ormai siamo abituati a vedere in ogni atto che passa da quest’Aula.

Un deficit di democrazia e partecipazione che vede limitare il confronto in questa materia che, è bene ricordarci, assorbe gran parte delle risorse economiche del bilancio regionale.

Gli interessi, non sempre legittimi, che ruotano intorno al sistema sanità e sociale hanno dimostrato come sia necessario mantenere alto il controllo e la vigilanza, come ben testimonia la relazione dell’ANAC, per evitare pericolosi fenomeni di malaffare che distruggono la funzione e il valore del sistema pubblico (basti pensare alle inchieste in corso sul territorio regionale che vedono coinvolti noti personaggi, che fino a pochi giorni prima venivano innalzati ad esempio di buona gestione, dai vertici delle Aziende Sanitarie da voi nominati).

Il documento fa riferimento ad un modello organizzativo territoriale che nella realtà non esiste, si parla servizi sanitari territoriali che dovrebbero sopperire alla riorganizzazione ospedaliera territoriale, senza tener conto che i nuovi servizi sanitari sul territorio sono invisibili ed insufficienti per i cittadini, mentre i tagli, gli accorpamenti, i ridimensionamenti, le declassificazioni delle strutture ospedaliere territoriali sono ormai una realtà ben conosciuta. Crediamo fermamente che prima andassero costruiti i servizi sanitari territoriali e poi eventualmente effettuata la riorganizzazione ospedaliera, come già ribadito innumerevoli volte dal nostro insediamento ad oggi.

Stiamo assistendo alla trasformazione di numerosi ospedali in strutture che si avvicinano sempre di più a RSA, senza che ci sia un reale potenziamento dei servizi territoriali, quindi si finisce per togliere servizi senza darne di nuovi.

 

In tutto il Piano c’è un continuo riferimento agli stili di vita nonché alla logica pattizia, arrivando fino alla già citata perla dello “scivolamento verso situazioni di mero assistenzialismo”. Quelli che sembrano riferimenti di puro buon senso presuppongono un non detto e cioè una visione negativa di povertà e vulnerabilità, perché è soprattutto ad esse che appartengono i peggiori stili di vita. In questo piano si ritengono le persone in queste condizioni  responsabili delle malattie originate da una apparente libera scelta dello stile di vita. Mentre non c’è dubbio alcuno che statisticamente chi è spinto ai margini, privato di beni essenziali, chi è vittima di una o più povertà (non c’è solo quella finanziaria, si pensi ai lavori stressanti e/o sottopagati o alle abitazioni degradate) chi è escluso dall’istruzione, chi è soggetto a condizioni materiali pessime, costui ha molte più probabilità di ammalarsi. Quindi se vogliamo stili di vita migliori per le persone dobbiamo prima migliorarne le condizioni di vita. Altrimenti il nostro è l’atteggiamento di chi cerca di guarire la ferita di un machete con un cerotto.

Il cambio di paradigma, dall’uguaglianza di accesso all’equità, presuppone il passaggio da un diritto pieno ad un’asticella di ingresso, o meglio di esclusione, che ci si arroga il diritto di continuare ad alzare, arrampicandoci sugli specchi dell’universalismo selettivo (concetto vecchio ormai di un decennio e di cui centrodestra e centrosinistra si contendono la primogenitura). Si faccia attenzione perché qui non parliamo di compartecipazione al costo della prestazione ma di possibile mancata erogazione della prestazione. L’idea, sottesa a questo concetto, è di stabilire a priori come e quanto si retrocede nella distribuzione del welfare, concentrandosi soprattutto su fragili ei vulnerabili, ma innescando così un processo che non è altro che una lenta e progressiva debacle, in cui l’universalismo comincia a non esserci più e rimane solo la selezione di chi si trova in situazioni di estremo bisogno.

Detto tutto ciò non si può non rilevare che molti intendimenti del Piano sono condivisibili: la lotta alla povertà, all’esclusione ed alla fragilità, il ruolo dei Distretti quali snodi strategici dell’integrazione sanitaria, sociale e socio sanitaria e lo sviluppo di strumenti nuovi di prossimità e di integrazione dei servizi sanitari e sociali. Il Piano segue lo stesso approccio che caratterizzava il Piano sanitario precedente che si è caratterizzato per un’ottima previsione ed una pessima applicazione pratica. Quello che ci preoccupa ancora una volta non sono le enunciazioni del Piano, ma la sua realizzazione pratica.

Nel Piano si punta ad una governance pubblica, a partire dalla programmazione, al fine di garantire l’equità nell’accesso dei servizi ed il controllo dei livelli di qualità.

Noi pensiamo che la cosa migliore non sia solo la Governance pubblica, ma bensì la gestione pubblica, da troppi anni assistiamo ad un sistema di governance pubblica sempre più vittima di clientelismi, sprechi e corruzione. Una sanità che avvantaggia sempre più gli enormi interessi privati a discapito della tutela della salute pubblica di tutti i cittadini.

Concordiamo sul fatto che il Fondo Regionale per la Non Autosufficienza (FRNA), debba assumere carattere strutturale ed in prospettiva, a fronte dei dati demografici della popolazione anziana, debba essere incrementato affinché alcuni diritti definiti universali non siano caratterizzati da universalismo selettivo, in particolare ci riferiamo ai servizi per le persone con disabilità grave. Riteniamo che quanto finora stanziato dalla Regione seppure rilevante, rispetto ad altre Regioni, debba trovare un potenziamento consistente per attivare realmente percorsi e servizi per far rimanere le persone nell’ambiente originario di vita.

Riteniamo che il Piano dovrebbe accentrare le competenze sulla disabilità in un unico Assessorato per rafforzare le politiche di prevenzione e di promozione del benessere sociale e della salute di queste persone e integrare le politiche sociali e sanitarie con quelle educative, della formazione, del lavoro e abitative ad essi dedicate. La frammentazione oggi esistente è causa della mancanza di progetti di vita indipendente, per quelle persone con disabilità capaci di autodeterminarsi, e di mancanza di una presa in carico unica da parte dei servizi socio sanitari, per quelle persone che non possono autodeterminarsi.

Riteniamo che nel Piano socio Sanitario si doveva osare di più, per far fronte al contesto diverso che si è realizzato dal 2008 ad oggi, a seguito della crisi economica ed occupazionale, al nuovo quadro demografico (l’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle persone immigrate, aumento dei nuclei familiari privi o con una esigua rete parentale, la diffusione di forme di lavoro precario) e socio-economico.

 

Cosa avremmo voluto trovare in questo nuovo Piano Sanitario?

 

La definizione di un sistema sanitario e di servizi sociali pubblici ed universali e non solo la governance pubblica.

Constatare una riforma della sanità con adeguamenti progressivi e non con trasformazioni decise dall’alto

Trovare una previsione di progressiva riduzione o eliminazione dei ticket e potenziamento capillare dei servizi emergenza urgenza.

Trovare una inversione di tendenza, dalla trasformazione strisciante dei nostri ospedali del territorio, alla difesa dei presidi ospedalieri periferici, dei punti nascita e della rete dei servizi assistenziali territoriali, con particolare attenzione ai servizi per le persone con disabilità, ai non autosufficienti e alle patologie cronico-degenerative.

Avremmo voluto trovare maggiore attenzione su:

  • Sostegno alla prevenzione primaria sanitaria e sociale;
  • Tutela della salubrità del territorio, dell’aria, delle acque , del cibo e dell’ambiente di lavoro;
  • Progressiva chiusura di fonti di inquinamento come gli inceneritori (perché non si può pensare a tutelare la salute se non si elimino le cause che la mettono a rischio).
  • Migliorare il primo soccorso anche con la programmazione di attività formative per i cittadini;
  • Progetti sulla Disabilità pianificati e partecipati con le famiglie delle persone con disabilità, non selettivi ma disponibili per tutte le persone con disabilità grave;
  • Rapporti con volontariato e no profit che rispettino il principio di sussidiarietà senza essere sostitutivi del servizio pubblico per la gestione ordinaria;
  • Realizzazione del registro digitale malattie gravi geolocalizzato consultabile via web (compreso il registro tumori, ad oggi non realmente attuato e valorizzato).

Avremmo voluto trovare maggiore attenzione alla salute e sanità pubblica più accessibile e funzionale

  • Sanità pubblica di alta qualità ed efficienza incentrata sui bisogni personalizzati del paziente pensata, progettata e guidata da evidenze scientifiche;
  • Sanità pubblica trasparente che sappia e voglia premiare il merito svincolata dai partiti politici;
  • Sanità pubblica che sia capace di recuperare, mantenere e valorizzare il rapporto di fiducia tra i cittadini ed i suoi operatori;
  • Formazione efficace ed efficiente per i propri operatori
  • Sanità che potenzi l’informazione ed il coinvolgimento dei cittadini come soggetti attivi, consapevoli e responsabili;
  • Selezione pubblica dei dirigenti attualmente di nomina politica con criteri oggettivi e trasparenti legati alla competenza ed al merito e non alla tessera di partito;
  • maggior coordinamento tra ArpaE e servizi delle AUSL
  • Migliorare l’appropriatezza prescrittiva, concordando ed incentivando obiettivi di salute con i medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, con una reale presa in carico del paziente;
  • Riduzione della spesa attraverso un controllo ed un taglio delle indennità accessorie dei dirigenti;
  • Rendicontazione trasparente delle strutture sanitarie;
  • Censimento trasparente e pubblico dei macchinari non utilizzati;

Avremmo voluto trovare nel Piano una anticipazione della definizione dei LIVEAS (livelli essenziali di assistenza sociale) a livello regionale.

Solo attraverso la definizione dei diritti di cittadinanza ed assistenza sociale sarà possibile garantirne la loro corretta tutela. Una tutela delle fasce deboli della popolazione, con la previsione di accessi ai servizi sociali garantito, rapido e snellito della burocrazia.

Dal Piano emerge, seppur non citato direttamente, il rischio di adozione del criterio dell’universalismo selettivo, e cioè delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie concesse alla prova dei mezzi dei richiedenti, già presente nel Piano precedente che trova definitiva affermazione in questo Piano. Ed è un rischio che non possiamo correre.”

Raffaella Sensoli
capogruppo M5S in Regione Emilia-Romagna