Sanità, un infermiere di famiglia per migliorare l’assistenza e l’integrazione dei servizi

Istituire la figura professionale dell’infermiere di famiglia anche in Emilia-Romagna. È questa la richiesta di Raffaella Sensoli, capogruppo regionale del MoVimento 5 Stelle, contenuta in una risoluzione che verrà discussa nelle prossime sedute dell’Assemblea Legislativa.

“Si tratta di una figura che può contribuire in modo molto efficace al miglioramento dell’accesso ai servizi sanitari e all’integrazione con quelli assistenziali e sociali – spiega Raffaella Sensoli – Ecco perché pensiamo che la Regione debba accogliere la nostra proposta in modo da dare un’opportunità in più a quelle famiglie che molto spesso sono alle prese con servizi più che carenti per quanto riguarda l’assistenza sanitaria in condizioni particolari di disagio”.

La figura professionale dell’infermiere di famiglia è stata descritta per la prima volta dall’Ufficio regionale Oms per l’Europa di Copenaghen nel gennaio del 2000: un health professional dedicato alla tutela della salute del nucleo familiare, come responsabile delle cure domiciliari, vale a dire l’insieme di tutti quei trattamenti medici, infermieristici, terapeutici e riabilitativi al fine di stabilizzare il quadro clinico e rendere migliore la qualità di vita. Un “facilitatore” di salute sul territorio, insomma, che entra nelle case per fare da tutor ai cittadini, sfruttando l’innovazione per aiutare le persone over 65 sane o malate a vivere autonomamente presso il proprio domicilio il più a lungo possibile e il più possibile in salute.

“L’introduzione dell’infermiere di famiglia e di comunità può concorrere alla riorganizzazione dei servizi territoriali e può essere una scelta strategica per potenziare l’offerta dei servizi territoriali e domiciliari al fine di migliorare l’accesso ai servizi sanitari, con integrazione tra quelli assistenziali, sociali e ospedalieri – aggiunge Raffaella Sensoli – Promuovere sani stili di vita, riconoscere precocemente gli stati di fragilità prima che insorgano stati irreversibili di disabilità, gestire in modo integrato le condizioni di cronicità in collaborazione con i medici di medicina generali e gli altri professionisti, sviluppare l’educazione terapeutica per l’autogestione della malattia oltre a gestire appropriati strumenti di tele-assistenza. Per quanto riguarda la formazione – conclude Raffaella Sensoli – quest’ultima può essere portata avanti grazie alla collaborazione con le università così come è stato per esempio con quella di Torino”.