Le infiltrazioni di umidità possono generare gravi danni. La nuova sentenza di un Tribunale chiarisce chi è responsabile.
Chiarito anche come dimostrare il danno e chiedere il risarcimento, distinguendo tra danno emergente e lucro cessante.
Solitamente le infiltrazioni in un locale commerciale indicano la presenza di acqua o umidità che penetra dall’alto, quasi sempre dal pavimento dell’immobile sovrastante, dal lastrico solare, dal terrazzo o da impianti difettosi. In questi casi, si produce un danno da infiltrazioni che può avere varie cause come ad esempio difetti di impermeabilizzazione, rottura o perdita di tubazioni, umidità di risalita o problemi strutturali che favoriscono il passaggio dell’acqua. La legge ha dato un chiarimento importante sulla questione.
La sentenza del Tribunale di Ragusa del 4 agosto scorso ha preso via da una disputa giudiziaria iniziata dalla società conduttrice di un locale commerciale, che dichiarava di aver subito infiltrazioni da una tubatura di scarico al servizio esclusivo di alcuni appartamenti privati. Al fine di veder riconosciuto un rimborso economico. la parte offesa citava in giudizio i proprietari degli immobili, in quanto considerati responsabili dei danni prodotti al sottostante negozio e collegati.
Chi ha subito i danni chiedeva ai proprietari di sostenere le spese per la riparazione del negozio, pari ad alcune migliaia di euro (danno emergente).
Ma non solo: chiedeva anche il risarcimento a causa della chiusura forzata dell’attività commerciale per un certo periodo al fine di effettuare le riparazioni forzate e pulire l’immobile (lucro cessante).
In particolare nei confronti dei proprietari degli immobili, la società chiedeva l’accertamento della loro responsabilità in quanto custodi della diramazione, come indicato dall’art. 2051 del c.c. riguardante la responsabilità per danni cagionati da cosa in custodia. Dal punto di vista tecnico-giuridico, a chi reclamava il risarcimento danni sarebbe stato sufficiente provare il rapporto di causalità tra infiltrazioni e bene custodito, senza dover al contempo provare un’eventuale negligenza dei convenuti nell’insorgenza del danno.
Come indica la giurisprudenza della Cassazione, l’articolo 2051 del codice civile prevede una forma di responsabilità oggettiva per i danni cagionati dalle cose in custodia: ciò significa che il custode risponde automaticamente del danno, senza che sia necessario provare una sua colpa o inerzia, a differenza di quanto accade. La raccolta delle testimonianze ha permesso di accertare i fatti accaduti, determinando il giudice siciliano ad accogliere, almeno parzialmente, la proposta risarcitoria.
Non fu infatti riconosciuto il lucro cessante, pur con la presentazione in aula del documento da cui emergevano gli incassi, per l’identico periodo, riferiti all’anteriore anno. Questo perché occorre dimostrare in maniera concreta e documentata gli utili abituali netti che la società avrebbe normalmente conseguito, e che non ha potuto realizzare.
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